sabato 29 maggio 2010

Era dalla maturità...

Oggi mi sono decisamente esibita in uno dei miei numeri da circo.
Quelli per cui la gente qui a fianco ha tutte quelle belle definizioni.
Tipo che sono un incidente al rallentatore e cose del genere...

Era dalla maturità che non facevo una cazzata di questo livello. Da quando il giorno prima dell'esame mi sono esibita in un «rm -rf *» al cervello, e non riuscivo a stampare le tesine per via di un disastro informatico generato dalla nullità dei miei neuroni. Era dalla mia maturità che non facevo una cazzata come sovrascrivere una cartella contenente un anno di lavoro.

Sono quei momenti in cui sento il mio neurone fare proprio così:
Lo sento che cerca di evadere brutalmente dalla mia testa, schifandomi per il mio rincoglionimento stratosferico.

Che ho fatto? Come ho fatto? Perché l'ho fatto? Non so che dire. Davvero.
Fatto sta che ho sovrascritto questa cazzo di cartella con una di backup dello scorso gennaio, perdendo una quantità di file che apre le porte dell'inferno sotto i tuoi piedi.
Porte che si spalancano una a una ogni qual volta cerchi questi file ovunque nel tuo hdd e non li trovi.
Ogni cavolo di suggerimento di programma di recupero che ti arriva in dieci secondi - da chi è molto preoccupato per la tua voglia di vivere in quel momento - ogni istante in cui ti dai della cretina e senti il tuo neurone sulla strada dell'evasione.

Sono state ore difficili, in cui nei miei improperi non ho risparmiato davvero nessuno (nemmeno me stessa) e in cui soprattutto ho avuto il terrore di installare qualsiasi programma per tentare il recupero dei file. Terrore motivato dalla seria possibilità si sovrascrivere quelle parti di disco fisso in cui stavano piazzati i file. Terrore che si fondeva con la consapevolezza di non esser molto simpatica alla fortuna, indi per cui era meglio non tentarla.

Sono state due ore di righe di codice scritte a "cazzo di cane", di terminale aperto dopo una vita. Due ore di righine di codice che da quando sono passata a mac non avevo più scritto, perché tanto ora è tutto puccioso bellinoso e a prova di deficiente (si è visto quanto). Due ore in cui mi sono ricordata molti dei motivi per cui per anni ho usato linux. Ore di telefonate disperate perché non sapevo che pesci pigliare.
Ore in cui grep è ritornato nella lista dei miei migliori amici.
Ore in cui il 90% della cartella sono riuscita a recuperarlo.
Ore in cui decido l'investimento per un hdd esterno e di non fare più il backup dei dati su 304385939 chiavette usb.

Ore in cui il mio animo nerd è tornato a galla permettendomi si salvare il salvabile con le mie mani e non tentare il suicidio.
Ore in cui ho capito che su certe cose Leopard fa davvero cagare.

Sono state ore in cui ho seriamente desidertato un plotone pronto per la mia esecuzione.
Così è scritto.






sabato 22 maggio 2010

30 anni. Ormai sei di mezza età.


L'ho trovato bellissimo per l'impatto grafico. Ho proprio goduto.
Provate a immaginarmi la mia gioia nel momento in cui ho mosso le freccette e mi sono accorta che ci potevo giocare.
Giubilo.

lunedì 17 maggio 2010

Non mi uccise la morte



La morte di Stefano Cucchi, lo scorso ottobre, ha scosso in modo evidente l'opinione pubblica. Il ragazzo arrestato per possesso di stupefacenti il 16 ottobre non ha mai fatto ritorno a casa per riabbracciare la sua famiglia: sei giorni dopo morirà nel reparto penitenziario dell'ospedale Pertini di Roma. Non mi uccise la morte parla proprio di questo abbraccio che è mancato, ne parla con la crudeltà dei fatti, senza nessuna esasperazione, ne parla senza nascondere i supplizi che ha passato il ragazzo prima di morire. Non vuole romanzare nulla, non vuole allettare le persone. I testi di Luca Moretti sono secchi, taglienti. Inizia proprio dal Focault di Sorvegliare e punire per arrivare fino al blasfemo di De André, senza “indorare la pillola”, senza alleggerire il colpo. La mano di Toni Bruno, sintetica e violenta allo stesso tempo, sembra fatta apposta per descrivere visivamente questa storia. Questo istant book, edito da Castelvecchi, racconta il grido di dolore di una famiglia che a distanza di mesi non ha ancora trovato verità e giustizia e nonostante tutto questo, ancora non si è arresa.
Il saggio finale, di Cristiano Armati, ci ricorda – ancora una volta – che le vittime di violenze da parte delle Forze dell'Ordine purtroppo ci sono e che spesso muoiono nell'indifferenza più totale, nel silenzio senza indignazione, perché fuori da quelle sbarre difficilmente arrivano notizie di questo tipo.

Non mi uccise la morte ma il buio della giustizia, scrivono gli autori come “seguito al titolo”. Un buio che tutt'ora, nonostante la riapertura dell'inchiesta, avvolge il caso e non accenna a diradarsi, una storia che diventa in un qualche modo il simbolo di decine di storie simili in Italia.
Questo libro serve a non far calare il sipario sulla vicenda, a non rimaner in tacito e passivo assenso, mi vien da pensare al vecchio detto latino “verba volant, scripta manent” anche se, come dicono gli autori, “Speriamo che non ci sia più bisogno di fare libri così”.

Questa recensione è apparsa su Comic-Soon periodico di informazione sul mondo del fumetto, uscito il 30 Aprile 2010 in occasione del Napoli COMICON, la parte che segue invece, è una mia considerazione personale che scrivo per la prima volta su questo blog.

Personalmente credo che questo libro abbia più di un lato interessante, anche se non nascondo il fatto che non ho mai amato il concetto di Istant Book.
Il primo effetto che mi ha dato, leggendo l'introduzione di Moretti e poi il fumetto stesso, è stata quella di veder affiorare una quantità di sentimenti contrastanti a fior di pelle. Quella sensazione di pelle d'oca che non se ne va, nemmeno una volta chiuso il libro. Il pugno nello stomaco che mi arriva ogni volta che questo tipo di realtà di palesa davanti agli occhi. Anche se hai occhi allenati per guardare, anche se hai anni di esperienza a sentire e cercare di intervenire nella memoria storica di determinate storie di merda, fa male.
Fa un male cane.
Il pezzo scritto da Cristiano Armati, poi, è la parte del libro che dà un po' il colpo di grazia. Sono tutte storie di cui si è sentito parlare, sono tutte pagine scure che non hanno mai avuto "giustizia", termine tanto caro agli indignati del 2010.
Eppure, nonostante tutto continuo a non credere in uno stato che si autoprocessa, come continuo a non credere ai principi azzurri, agli asini che volano, a Babbo Natale o a chi per lui.
Quando ho chiuso questo libro, quando l'ho messo nella libreria, in mezzo ai suoi "simili", i libri che parlano di queste storie, che fissano nelle loro pagine un grido di memoria storica, l'unica cosa che ho pensato è che davvero vorrei che ci si fermasse qui. Che non ci siano più storie come questa da raccontare. Semplicemente perché, nel migliore dei mondi possibili, non dovrebbero più accadere.
Eppure, la nota di dolore è una e una sola. Non viviamo per niente nel migliore dei mondo possibili.
17 05 2010.

venerdì 14 maggio 2010

Bartoli e Recchioni: doppia intervista.


Lorenzo Bartoli e Roberto Recchioni: il perfetto equilibrio delle differenze.

Una doppia intervista alla coppia di sceneggiatori creatori di John Doe.

Questa intervista è stata redatta in due tempi diversi, dopo il primo incontro avvenuto nel Febbraio di quest'anno, c'è stato il desiderio di integrarla ulteriormente prendendo spunto dalla bellissima chiacchierata di quel pomeriggio. È una cosa che viene abbastanza naturale quando si ha a che fare con due persone come Lorenzo e Roberto, perché con ogni parola lanciano degli stimoli di riflessione che chiedono di essere soddisfatti. (pubblicata su Comic-Soon periodico di informazione sul mondo del fumetto, uscito il 30 Aprile 2010 in occasione del Napoli COMICON)

1) Quando ci siamo visti la prima volta, mi avete parlato di una visione “spoetizzante” del vostro lavoro. Potete spiegarcela meglio?
Lorenzo: Io cerco la mia poetica, non una poetica assoluta. Cerco la mia voce, sfida numero uno per un autore, di qualunque livello. Se per “spoetizzante” intendi sottolineare il fatto che tendiamo a desacralizzare il lavoro dello scrittore e che pensiamo di somigliare più a degli artigiani che a degli artisti, be’… è vero. La pensiamo così, mi sento di parlare pure per Roberto. Ma non dirgli che te l’ho detto…
Roberto: Non so se “spoetizzante” sia il termine giusto, il discorso è molto semplice: quello che facciamo è un lavoro e come tale lo prendiamo quando si tratta di andare a stringere. Poi, è ovvio, a monte c’è la passione. Quella passione che ti spinge ad accettare lavori privi di convenienza, solo per il piacere di farli, a imbarcarti in progetti folli, a investire e a spendere il quadruplo delle energie per realizzare qualcosa, a non essere, insomma, dei meri impiegati.
Ecco, il punto è questo: professionisti (che amano il loro lavoro) ma non impiegati.

2) Guardandovi superficialmente sembrate un po' “la strana coppia” sia fisicamente che a livello di atteggiamento. Tra i due Lorenzo sembra quello più solare e meno cinico, Roberto invece sembra il completo opposto. Mi sbaglio?

Lorenzo: Io sono solare, ma se mi arrabbio sono capace di reazioni molto forti. Roberto si sfoga a parole, quasi quotidianamente, dando una rassettata ai suoi malcontenti e uscendo abbastanza pacificato dalle situazioni. Mediamente, io non mi ci infilo proprio nelle tensioni, ma se le tensioni vengono a me le prendo a morsi.
Roberto: Decisamente. Io non sono per niente un'anima nera, anzi sono una persona solare e allegra. Non mi sembra per niente di essere un cinico.

3) Roberto, a leggere il tuo blog non si direbbe. Come hai detto tu stesso sei un “uomo di pareri”, e ogni volta che ti esprimi ti fai cinque nemici. Se non ricordo male ci sono stati grossi momenti di contrasto con i tuoi lettori. Come mai?

Roberto: Ci sono stati parecchi momenti di contrasto, ma va bene. Lo scontro diretto, anche a farsi male, è il mio modo di conoscere gli altri e valutarli. Io amo confrontarmi. E amo vincere. Quindi, le occasioni in cui mi capita di entrare in polemica con qualche lettore o qualche addetto ai lavori è sempre un momento di “agonismo dialettico”, che è una cosa che mi diverte molto. Poi, sia chiaro, se devo gettare la spugna e arrendermi all’evidenza di avere torto, sono sempre disposto a farlo e a riconoscere l’onore delle armi al mio “avversario”.

4) Sempre a Roberto chiedo: questo inverno ha fatto molto parlare di sé l'albo di Dylan Dog che hai scritto, Mater Morbi. Non è che forse è stato frainteso e un po' strumentalizzato il messaggio del tuo racconto?

Roberto: La storia non parlava di accanimento terapeutico come hanno detto in molti. Parlava anche di quello, alla stessa maniera in cui parlava di eutanasia, accettazione, rabbia, dolore e conseguenze.
Poi ognuno, sulla base dei propri interessi, ha parlato di quella storia dandogli la lettura che maggiormente si confaceva rispetto alle sue necessità. E questo vale tanto a destra, quanto a sinistra.

5) Qual è il vostro atteggiamento nei confronti dei vostri lettori?
Lorenzo: Il nostro è un atteggiamento molto Punk, per così dire, non ci mettiamo su un palco, il nostro palco è proprio all'altezza del pubblico.
Roberto: Sì, la penso alla stessa maniera. Un rapporto “orizzontale” e non “verticale”.

6) Incontrandovi e leggendo i lavori che avete fatto “slegati” l'uno dall'altro è evidente la vostra differenza di formazione culturale. Da dove siete partiti?

Lorenzo: Io ho una formazione un po' più accademica rispetto a Roberto, parlo proprio dei miei studi, ma oltre a questo una delle mie basi culturali è la strada. Sono le persone che vi ho incontrato e le loro storie.
Roberto: La differenza tra me e Lorenzo non è solo quella della formazione culturale. Io per esempio sono un autodidatta, avevo la fortuna che la libreria dei miei genitori era divisa in due: potevo trovarci tutto e il contrario di tutto. C'è anche da dire che Lorenzo fa parte di una delle ultime generazioni che ha potuto giocare per strada, che l'ha vissuta completamente. Io faccio parte di un'altra generazione, quella del post- modernismo. Per noi la fiction è la base culturale. La differenza maggiore tra me e Lorenzo è proprio che lui giocava a pallone in strada. Io guardavo dalla finestra quelli che giocavano.

7) Qual è invece la differenza di base nel vostro modo di lavorare, sia da soli che in collaborazione con altri?

Lorenzo: Io ho un amore incondizionato per l'insegnamento, infatti sono anche molto orgoglioso delle persone che sono uscite dalle mie aule, tra cui Roberto stesso. In un certo senso io sono un cantastorie, una cosa che mi piace molto è ridurre all'osso le storie. Inoltre non ho nessun problema a lavorare con gli altri, perché non ho nessuna invidia. Anzi. Una delle differenze con Roberto, per esempio, è che io sono uno che mira al cuore del racconto, per me il punto non è come ti racconto una storia, ma cosa sto raccontando.
Roberto: Io sono affascinato dai meccanismi narrativi. Mi piace cercare di replicarli e, una volta appresi, scardinarli e rigirarli alle mie esigenze. A differenza di Lorenzo, per me il “come” è sempre più interessante del “cosa”.

8) È più importante il dialogo scritto o quello parlato? o meglio: siete più incisivi quando scrivete o quando parlate?
Lorenzo: Io sono abbastanza bravo nel dialogo parlato, nel contato umano anche con più persone, forse anche grazie alla palestra dell’insegnamento. Per quanto riguarda i dialoghi scritti: mi piace farli finti retorici, con un lavoro sui luoghi comuni che a volte – quando sbaglio la mira – trasforma tutto in roba banale. Invece, nelle mie intenzioni, c’è un lavoro sulla banalità come codice espressivo. I luoghi comuni sono veri. Sono come il codice Morse. Ma bisogna saperli usare.
Roberto: Non credo che siamo noi le persone più adatte a rispondere a una domanda del genere.
Comunque sia, il mio modo di esprimermi nella vita reale e la maniera in cui strutturo i miei dialoghi sono piuttosto simili. Il problema è che il modo in cui parlo è figlio del modo in cui scrivo, e non il contrario come sarebbe sano che fosse.

9) Voi avete creato John Doe, personaggio che ha avuto un notevole seguito. Qual era il vostro approccio nell'ideazione delle storie?

Lorenzo: Le nostre riunioni erano in grado di durare meno di dieci minuti, a volte ci dicevamo semplicemente cosa volevamo fare, in modo molto sintetico e poi ci mettevamo a lavorare. Poi la parte della continuity della serie era per lo più affidata a Roberto, le storie che scrivevo io erano più che altro una “lente di ingrandimento” sui dettagli dell'insieme.
Roberto: Infatti, quando capitava che qualcuno assistesse alle nostre “riunioni” rimaneva abbastanza perplesso da questa nostra immediatezza.

10) Lo scorso inverno ha smesso di uscire per alcuni cambiamenti all'interno della casa editrice che lo pubblicava. Dopo questo periodo di “pausa” ora tornerà con una nuova veste. Volete parlarcene un po'?
Lorenzo: Nuovo copertinista: Davide De Cubellis. Quarta stagione da 22 numeri, un back to the basic da lettori hard core, con alcune similitudini alla struttura della prima stagione. Nuova generazione di disegnatori, con esordi assoluti e delle autentiche chicche a livello stilistico. E l’arrivo del nostro amico, compagno di sbronze, fratello, lo sceneggiatore Mauro Uzzeo. È poco?
Roberto: No. Scherzi a parte, sarà un inizio tutto nuovo, che darà modo a nuovi lettori di avvicinarsi al personaggio ma che, al tempo stesso, farà sentire a casa quelli vecchi.
È un equilibrismo complicato che speriamo di riuscire a eseguire con stile.

11) Ricordo che alla conferenza sul ritorno di JD, che avete fatto lo scorso febbraio a Mantova Comics & Games, avete parlato di “ispirazione” alla saga di Malussène? Come nasce questa idea?

Lorenzo: È presto per parlarne in maniera approfondita, ma pensate solo a un concetto: il dio che vi ha creato non vi ha dato retta per un bel po’. Ce l’avete con lui, ok? Ma anche per cose di cui, in fondo, non avrebbe nessuna colpa…
Roberto: Siamo entrambi molto amanti del lavoro del primo Pennac e mentre stavamo ricostruendo l’universo di JD ci siamo resi conto che alcune idee che stavamo mettendo in gioco avevano degli echi con la saga di Malussène. Di più non posso dire.

12) Come vi comportate invece con personaggi creati da altri?

Lorenzo: Personalmente faccio un po' fatica a lavorare con personaggi fortemente caratterizzati da altri, in un certo senso mi piace essere un po' outsider da questo punto di vista, per me è una questione di stimoli. Certo sono in grado di scrivere un po' di tutto anche senza essere un mercenario della scrittura. Tutto sta nel trovare la “chiave” giusta con cui interpretare la storia.
Roberto: io, invece, mi trovo benissimo a scrivere Dylan Dog, perché è un personaggio che conosco molto bene e che tutto sommato mi lascia abbastanza spazio interpretativo. Quando ho scritto Diabolik ammetto di aver trovato molte più difficoltà, visto che il personaggio per certi versi è molto più “blindato”, anche se è stato quello con cui ho appreso di più.

13) Parliamo di un'altra cosa, come siete diventati sceneggiatori? E come sono cambiati i tempi secondo voi?
Lorenzo: Io sono diventato sceneggiatore un po' per caso, si può dire, ma c'è anche da prendere in considerazione che erano tempi completamente diversi. Secondo me l'humus che c'era ai tempi in cui ho iniziato io, e poi a quelli di Roberto, non esiste più, soprattutto in un mercato parecchio in crisi, costellato di piccolissime case editrici. Comunque sia, risposi a un’inserzione per la famosa casa editrice «Comic Art» e pochi mesi dopo pubblicavo su «L’Eternauta».
Roberto: Io volevo proprio fare fumetti. Anzi, ho iniziato come disegnatore e ho fatto anche un po' fatica a rendermi conto che scrivere mi riusciva meglio che disegnare. Devo dire anche che per me oggi arrivare alla pubblicazione, per certi versi, è molto più facile di un tempo. Quello che invece è diventato molto più difficile è viverci scrivendo le storie. Credo che sia questa la discriminante. Il mondo del fumetto assomiglia sempre di più al mondo della narrativa in Italia, puoi scrivere il libro più bello del mondo, ma viverci grazie a quello che scrivi è sempre più complicato.

14) La vostra collaborazione è iniziata più dieci anni fa. Avete mai avuto momenti di forte contrasto?

Lorenzo: No. Anche se Roberto, soprattutto i primi tempi, litigava con me in mia assenza. Siamo buoni amici, davvero. E io ho sempre avuto nei suoi confronti una capacità che lui mi riconosce: non l’ho mai giudicato. Mi piace così com’è, anche se può risultare indigesto.
Roberto: Se ci sono stati, non me li ricordo.

15) Qual è una delle cose più difficili da gestire del vostro ruolo? Non parlo del vostro lavoro tecnico come sceneggiatori ma della vostra veste pubblica.
Lorenzo: Una delle cose più difficili è sicuramente riuscire a confrontarsi con la grossa mole di materiale che ci viene inviato. Perché è sempre stato tantissimo e la pressione a cui siamo sottoposti (soprattutto nel periodo di John Doe in Eura) è davvero altissima. Adesso ricevo meno roba, ma ho gli elaborati degli alunni e la roba che mi inviano su Facebook o per posta i molti appassionati col guizzo della scrittura. Difficilissimo dare dei pareri, tra l’altro. E spesso non ne ho nessunissima voglia, perché l’altro non è che se li tiene e basta… vuole un dibattito, ma io ho una vita sola, proprio come lui.
Roberto: Al di là del suo lavoro, un fumettista non ha una “veste pubblica”. Ce l’ha se si mette in gioco, esponendosi, per esempio, come faccio io attraverso il mio blog e nei vari social network. Ma è una mia scelta e non posso lamentarmene. Quindi, no, non c’è niente di difficile. Se il caldo mi da fastidio, posso sempre andarmene via dalla cucina, giusto?

16) Lorenzo se non sbaglio stai preparando una rivista in collaborazione con la Scuola Internazionale di Comics, potresti parlarci un po' di cosa si tratta?

Lorenzo: Sì, «iComics»: 160 pagine a colori, periodicità bimestrale, da edicola. Accanto a grossi nomi come Serpieri, Parrillo, Cucca o Troiano, ci sarà spazio per esordienti, sia ai testi che ai disegni. Il direttore editoriale è Roberto Dal Prà e ho tanto da imparare da lui, autore della generazione precedente alla mia, che conosco da moltissimo tempo.

17) Roberto a te vorrei chiedere un'altra cosa: oltre al tuo lavoro sulla serie ufficiale di Dylan Dog, c'è la possibilità che anche tu, come Medda e Enna, possa avere un tuo progetto con la Bonelli?
Roberto: certo che c’è la possibilità. (voci non confermate dicono che Roberto sia effettivamente al lavoro per una miniserie Bonelli ndr)

18) Immaginate di essere Salgari e scegliete il luogo del mondo da raccontare senza uscire di casa, al massimo potete sbirciare su internet.
Lorenzo: Il quartiere romano Appio-Tuscolano, con incursioni tra a Casilina, il Pigneto e Centocelle. Non è la giungla di Tarzan, ma solo per la mancanza ormai secolare di liane.
Roberto: Grossomodo è quello che faccio ogni giorno, purtroppo. Attualmente, quello che mi interesserebbe di più, è raccontare un mondo che invece posso toccare e non solo vedere attraverso la finestra o internet. È per quello che mi sto impegnando come un matto con le storie che sto scrivendo e disegnando per «Canemucco» di Makkox.

19) C'è qualcosa che volete ancora dire l'uno dell'altro?
Lorenzo: Mi piace la persona che sei diventato. Continua a lavorarci e fa’ un figlio. Ciao.
Roberto: nulla che non posso dirgli al citofono (abitiamo vicini).