Nel lontano dicembre 2009, vivevo a Roma, ospite a casa di un amico in un posto dimenticato da Dio e dagli Uomini sulla Cassia. Risalito agli albori della cronaca pochi mesi prima per l'avvincente storia di Marrazzo.
Era un periodo come questo, in cui le cose girano un po' a fatti loro e per quanto tu cerchi di essere ottimista, l'ottimismo ti deride e si suicida davanti ai tuoi occhi ingoiando forti dosi di veleno.
Nell'ultima settimana credo che non sia passato un giorno intero senza che ci sia stata una piccola apocalisse nella mia quotidianità: gastrite acuta (roba che se non la prendevo in tempo mi acchiappavo una nuova ulcera), ascesso del dente del giudizio, pessime notizie, processi alla forma e alle intenzioni, solitudini, due di picche.
Tutta roba su cui provo a riderci sopra mentre la mia ironia decide di seguire l'esempio dell'ottimismo e di spararsi un colpo in bocca. Sempre davanti ai tuoi occhi, of course.
Allora succede che poi pure Afrodite (il mio amato MacBook) a un certo punto non vuole accendersi più. Lo fa dopo un forte numero di bestemmie e tre tentativi di avvio. Un po' come Gesù Cristo risorse dopo tre giorni.
Succede che su twitter, la mia amica (immaginaria) Nina Sever mi ricorda questa cosa del 2009. Di me a cavalcioni su quel cancello. Succede che recupero il post. Succede che ve lo faccio leggere. Perché mi sembra una bella metafora del mio stato d'animo di questo momento. Mi sento su quel cancello, in quel limbo. Ancora adesso. Nei secoli dei secoli.
Roma, 2 dicembre 2009.
È una mattina di quelle che iniziano con la sveglia che suona ripetutamente per delle mezz’ore, ti rigiri nel letto, ti copri la testa con il cuscino, ti ricacci sotto le coperte, hai freddo e il sonno è arrivato da appena due ore. Se va bene.
Dopo un lungo tempo passato a cercare di fuggire la realtà, prendi il telefono in mano e scorgi con orrore che è già parecchio tardi.
Ti alzi di scatto, Ti vesti con le prime cose che afferri, Il beautycase lo infili a casaccio nella borsa insieme alla spazzola (dopotutto sono un’ora e tre quarti di mezzi per arrivare in ufficio, puoi tranquillamente pettinarti e truccarti tra autobus vari e metro).
Esci dalla porta. Chiami l’ascensore. Rientri un attimo per controllare di non esserti dimenticata nulla. Ok. C’è tutto. Chiudi la porta, metti le mani in tasca del cappotto per prendere le chiavi.
Ah già. Le chiavi.
Ah già. Le chiavi.
Sono sul tavolo, ovviamente.
Ok, non è il caso di invocare i demoni solo per le chiavi, il coinquilino tornerà prima di te e qualcuno che ti apre stasera ci sarà sicuramente.
Piano terra, Apri la porta a vetri, Ti si chiude alle spalle.
Ottimo. Il tasto per aprire il cancello è solo DENTRO la porta, quindi sei decisamente bloccata in quel limbo a forma di corridoio che separa la porta dal cancello.
Provi a fermare i passanti (che in questo posto sperduto sono decisamente pochi) chiedi loro se cortesemente possono suonare tutti i campanelli dei vicini perché trovino qualcuno che ti apra.
Beata diffidenza. Non uno che apra quel maledetto cancello. Se arrivo in ritardo al lavoro con questa scusa mi bruciano a me e a tre quarti della palazzina mia (che in questo caso visto che stai bloccata lì perché nessuno ti apre ti farebbero pure un favore).
Unica soluzione. Scavalcare il cancello, Anche se è piuttosto alto e pieno di spuntoni in cima.
Lanci ma borsa dall’altra parte e senti il rumore di qualcosa che non doveva cadere a terra così rovinosamente. La boccetta del profumo.
Ottimo per strada lascerò una scia.
Finalmente a cavalcioni del cancello. Suona il cellulare. Il nome sul telefono non ti permette di non rispondere.
«Ciao Cristiano, È un po’ che non ti sentivo. Come? Due settimane? Quali racconti scusami? Ah sì, Hai ragione quelli che ti dovevo consegnare ad agosto… in che mese siamo? Già. Quasi dicembre». OTTIMO.
Nel corso della telefonata, Abbarbicata sul cancello vedi arrivare il postino, Guarda prima con interesse questa specie di scimmia metropolitana e poi la fila di campanelli.
«Scusi ha mica un pacco per Amal Serena? Perché sarei io… Cristiano senti, è un momentaccio ti richiamo tra un po’».
Firmi questo foglio in una posizione da equilibrista degna di uno stunt-man. Ora vicino alla tua borsa imbevuta di profumo, c’è pure lo scatolone dei libri.
Conto fino a tre e salto. Un respiro profondo e salto.
In quel momento qualcuno apre il cancello, Quindi lo scatto della serratura e il peso di questa specie di scimmia arrampicata sopra lo fanno lentamente ed inesorabilmente aprire. Il muro e la schiena dopo un attimo sono un tutt’uno.
Io ne sono convinta. La sfiga mi rincorre con la motocicletta....
3 commenti:
me lo ricorderò per tutta la vita, mi sa
Io ero riuscita a dimenticarlo, sai? Ma per fortuna che ci sei tu che a volte mi fai da memoria esterna, o qualcosa del genere. :D
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