Ci sono dei periodi dell'anno in cui ciclicamente, per un motivo o per l'altro, sembra che io mi impegni per raggiungere un unico scopo: schiantarmi a duecento all'ora in una vetrina.
Sembra che ogni mia azione vada in questa senso.
Giusto per sfatare quel che dice il mio amico Roberto, ovvero che sono un incidente al rallentatore (vado troppo veloce), per avvalorare quello che dice il mio amico Mauro, cioè che ho un aurea di guai che mi gira attorno tipo Sirio il Dragone.
In questi giorni ho fumato troppe sigarette, mangiato troppo poco e non ho mai dormito veramente.
Stanotte galleggio tra una cosa da concludere entro ieri, un'altra da concludere la settimana scorsa e l'ansia di quelle da concludere entro lunedì.
Come in una grossa bolla di sapone, una guaina troppo fragile per proteggermi il cervello.
Accendo l'ennesima sigaretta e fisso il vuoto in un punto imprecisato davanti a me.
Scaldo l'acqua per una tisana, spengo la sigaretta, sforzo gli occhi perché mettano ancora a fuoco il monitor del computer e basta.
Non è vero che penso qualcosa.
Non penso veramente a niente.
Se non che ho fumato troppe sigarette.
Che questa volta, io che bevo tutto amaro, metterò due cucchiaini di zucchero nella tisana perché ho bisogno di tirarmi un po' su.
Che devo finire quello che ho iniziato.
E che vorrei non dover tirare il freno a mano, ma rallentare normalmente.
Perché se lo tiro magari nella vetrina di arrivo ai centodieci all'ora e non ai duecento, ma la verità è che vorrei fermarmi prima dello scalino del marciapede e per una volta non schiantarmi proprio.
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