lunedì 27 dicembre 2010

Marco Polo avrebbe chiesto la mia esecuzione

Marco Polo non avrebbe apprezzato il mio tradimento. O meglio il tradimento che il mio cuore ha fatto quasi dieci anni fa.
Non l'avrebbe apprezzato per via della sua prigionia, della rivalità tra le due Repubbliche Marinare. Ne sono sicura.

Una veneziana di antica stirpe innamorata della sua più grande rivale, Genova, è una cosa che non sarebbe potuta accadere in altri tempi.
Sono nata dove il sole sorge. Sono nata in una terra grigia e verde, dove il mare ha il colore delle alghe, dove l'entroterra è tutto quello che è rimasto agli antichi veneziani.
Sì, perché sono ormai svariate generazioni che gli abitanti originari di Venezia sono tornati nell'entroterra, la famiglia di mio padre l'ha fatto da tre generazioni (che nel nostro caso coprono più o meno 150 anni).
Ma se guardo le nostre origini, il nostro albero genealogico, rimane un tempo infinitesimale.
La mia famiglia è di Murano dalla fine del '300. Ci chiamavano “i cherubini”, persone arrivate ancora da più a est e stabilite in quell'isola di vetrai. Niente di strano visto che, narrano le leggende familiari, l'origine del nostro ceppo è boema.



Insomma 150 anni su più di mezzo millennio non sono veramente niente.

Sono nata a 30km da Venezia, ci ho passato buona parte dell'infanzia e gran parte della mia adolescenza in quella città e non l'ho mai amata. Padova almeno l'ho sempre odiata, ho sempre provato qualcosa per lei, disprezzo, rabbia, disgusto. Mi è sempre andata troppo stretta, mi è sempre sembrata un bacino mediocre dove crescere, pieno di strade pulite e di merda nascosta sotto i tappeti. Si dice “Padovani gran dottori” ma ultimamente credo che i veneti in generale sguazzino nella stessa ignoranza dei maiali che allevano. Anche se le città le tengono molto più pulite dei porcili: le ripuliscono dall'immondizia varia, che siano esseri umani scomodi, scarti della società o semplici rifiuti della gente per bene.

Venezia non mi ha mai colpito al cuore, nonostante sia la mia prima radice, nonostante sia colpa dei miei antenati che in me e in mio padre (non credo di poter dire lo stesso dei miei fratelli o di mia sorella) sia ancora così forte questo “gene marino” che ci tiene legati all'acqua ben più che alla terra. Ho sempre reputato superficiali le persone che hanno bisogno di Venezia per innamorarsi. Mi sono sempre chiesta: “Ma che avrà di speciale? È solo la solita vetrina per i turisti che periodicamente sprofonda sotto i metri dell'acqua alta”.


Venezia rappresenta la mia adolescenza ben più di Padova, il primo posto dove sono andata a vivere quando a 17 anni sono scappata di casa (ve lo tolgo subito il dubbio: non ci sono mai tornata a casa), l'occupazione del liceo artistico che frequentavo più di quello dove facevo lezione a Padova, la prima sigaretta, la prima canna con gli amici nei giardini dell'isola di Sant'Elena.
E soprattutto Venezia era il mio foglio di via: la città dove ho sbattuto così tanto forte il muso contro la violenza della vita che ancora adesso, a distanza di quasi otto anni, ogni tanto mi accorgo che il naso continua a sanguinare.



Ecco a un certo punto l'ho provato un sentimento per la città dei miei antenati: paura.
Avevo paura a camminare per le calli, a sentirla nominare. Così me ne sono andata, dall'altra parte del nord Italia (non poi così distante lo so) a cercare quel sole che tramonta, a fortificare il mio tradimento, a metterlo in atto, a lasciarmi rapire da una città che per me non è grigia e verde, ma risplende del fuoco del sole al tramonto: per me Genova è rossa, arancione, gialla e nera, mi infiamma il cuore e soprattutto è casa mia.

Questo Natale però qualcosa è cambiato. L'ho passato a Venezia ed erano quasi otto anni che non ci mettevo piede. Per la prima volta sono stata una turista, come sono una turista quando sono a Padova: queste sono strade che non riesco a riconoscere, a ricordare. Come se le vedessi per la prima volta. Ma questo Natale è successo qualcosa, ho ritrovato qualcosa che avevo sepolto da qualche parte. E mi sono invaghita di Venezia, l'ho vista con altri occhi e sotto il verde osceno dell'acqua dei canali, mentre passeggiavo con mio padre, ho scorto le nostre radici, quelle del cognome che portiamo: Serena.
Non tornerò sui miei passi. Non lascerò l'amore con cui son fuggita per tornare indietro in un posto che non considero casa mia, ma non preoccuparti cara Venezia, risanerò quelle ferite che mi porto dietro da anni e poi ci vedremo presto. Me lo sento. Tonerò in qualche modo anche se "agli eterni vagabondi non è concesso il ritorno" (Michel Sauniér). 

2 commenti:

Guido ha detto...

domenica t'ho pensato, poi passo di qua, leggo che sei in zona, e mi chiedo se forse tutto allucinato nn sono.

e allora te lo chiedo chiaro e tondo: tu nn sei quel tipo di persona che ficcherebbe la faccia nella borsetta pur di non salutare qualcuno in stazione, vero??

Amal ha detto...

Ehy! Ho letto il tuo commento solo ora... Sono stata in zona pochissimo per questo non ho chiamato nessuno, sono stata per lo più a Venezia, come ho scritto e a Padova ci son passata solo per fare un cambio di valigia... Ma mi hai vista in stazione? Davvero?