martedì 13 dicembre 2011

Spargimenti di sangue o di detersivo

Ricordati di lavare la coscienza, se non trovi una lavatrice abbastanza grande agli angoli delle strade ce ne sono in abbondanza in collina.
Lontano dal centro, che scendono dal pendio. 




Non puoi non vederle, sono lì, imponenti, sopra quella strada d'asfalto che hanno avuto l'ironia di chiamarla Autostrada dei Fiori. Tu ce l'hai mai visto un fiore lungo quella strada?
Un fiore anche uno solo portato da quel vento capace di far tremare la macchina sui viadotti.
Un fiore anche uno solo che ti sia caduto sul parabrezza quando uscivi dalle gallerie e ti trovavi davanti a quelle enormi lavatrici.
Neanche un petalo.
Ogni tanto alberi bruciati.
E poi ecomostri.
Mostri.
Lavatrici.



Abbastanza grosse da lavarti la coscienza. Abbastanza grosse da lavare la coscienza dei posteri. Un monito. Ricordati che per quanto tu possa aver sbagliato il fascino del tuo errore ti sopravviverà.
Non serve altro per aver perdono, solo un po' di fascino nella tua catastrofe e ti sarà pulita l'anima, ti sarà perdonato tutto.



Puoi trovare un Paese delle Meraviglie anche lì in collina, in quel microcosmo delle lavatrici di Prà, puoi trovare un sacco di cassetti con cui bruciare i sogni dietro ai vetri sfondati, dietro alle porte murate.
Puoi trovare una mappa del tesoro, dove mettere al sicuro i tuoi incubi.




Puoi trovare un viale perfetto incastrato tra i pilastri. Perfetto per socializzare, perfetto per vietare ogni cosa, perfetto per negare lo spazio.
Un mare brillante in lontananza. Puoi guardarlo dall'oblò mentre fai la centrifuga.





Puoi non sentirti solo in quella comunità che si trova in un mostro di città piantato a caso in una campagna, in quel luogo dove ci nasci e ci muori, perché la verità è che non riesci ad andartene. Puoi non sentirti in colpa per il fallimento dei tuoi “buoni propositi” di architetto moderno.

Mi raccomando, se non trovi una lavanderia agli angoli delle strade, ricordati di lavare comunque la coscienza. E' importante.
Ricordati che lì puoi segregare tutte quelle persone che non vuoi vedere, quelle parti sociali che vuoi dimenticare.
Un posto giusto. Uno dei migliori. Non puoi chiamarlo scempio. Sarebbe sbagliato.
Ha il suo fascino nei muri incrostati, nei pilastri marci. Ha il suo fascino nel modo in cui cerca di distrarti con il mare alla fine dello sguardo.



L'hai creato proprio perché non desse fastidio, se non all'occhio se ci passi sotto, su quella strada di cemento che con i fiori ha davvero poco a che fare.
E' proprio come una canzone che fa finta di essere profonda ma non dice niente.


lunedì 28 novembre 2011

Una scatola disordinata


Sul comodino della mia mente è appoggiato un Vaso di Pandora.
Quello che contiene tutti i mali del mio mondo.
Oddio credo che sia appoggiato sul comodino della mente di molte persone, ma è solo un dettaglio.
Di norma rimane chiuso e sigillato. Non ho mai intenzione di aprirlo, non solo, mi guardo bene dal farlo. Ci giro al largo senza troppe remore so che esiste, non posso negarlo, posso solo sperare che a furia di infilarci le cose che mi fanno male non esploda di colpo.

Nascosta in fondo a una libreria c'è una scatola di latta, dove seppellisco parte dei miei ricordi migliori per paura che possano tornare a galla mentre vago per casa, quelli possono far male in quel modo latente che non lascia scampo. Li tengo lì per sentirmi al sicuro, perché non siano presenti in ogni istante. Sono frammenti di vite passate, di storie che mi sono rimaste addosso: quelle lettere, quelle foto, quei frammenti di ricci di mare, di scogli e di cose capite troppo tardi, probabilmente mi sopravviveranno. Cosa che i miei segni sul corpo non possono fare.


Poi intorno a me, creo sempre una scatola disordinata, dove tengo tutte le cose che appena le guardo mi strappano un sorriso e nel mio mac c'è una cartella che si chiama proprio così, una scatola disordinata, dove ammucchio quelle foto fatte male, di non fotografa, che voglio aprire e guardare quando ho bisogno che una parte di frammenti migliori vengano a galla, per raccontarmi una storia nella testa semplicemente con un'immagine.
Perché è a questo che mi servono. Le apro quando dal Vaso di Pandora mi accorgo che qualche ombra è riuscita a divincolarsi e a raggiungermi o che qualche ricordo scappa dalla scatola di latta e si insinua di nascosto tra le pieghe dei miei pensieri, la apro quando mi accorgo che rimangono lì, come semi, pronti a germogliare alla prima pioggia.

Fortuna che per piangere ho bisogno di trovare le lacrime sul fondo di una bottiglia, o avrei una foresta pluviale di mostri e di bei ricordi che fanno sanguinare.
E che non le trovo neanche così spesso.



Il paradosso è che oggi ero concentrata sulle foto dei miei giorni a Vernazza quest'estate con Cèline, una di quelle amiche che ogni tanto perdi e ritrovi negli angoli del tempo, con cui ci puoi passare tranquillamente interi giorni a non far niente o a giocare a scacchi perché ti conosci così bene da saper gestire gli spazi senza pestarsi i piedi. Ecco nella mia scatola disordinata c'era un ossimoro, perché quello era il posto dove mi riallineavo con l'universo e ora, dopo aver metabolizzato la mazzata di due alluvioni in meno di dieci giorni, dopo aver visto il dramma negli occhi degli amici, dei conoscenti, degli sconosciuti (e con i miei occhi), mi rendo conto che sono le uniche immagini che voglio tirare fuori. Le altre le lascio chiuse nel vaso che sta sul comodino della mia mente. E basta.




Forse lo scrivo solo perché oggi mi è stato chiesto come mai, dopo che addirittura mi capitato di finire sul sito del TG3, io non abbia continuato a raccontare cosa ho trovato nel fango da queste parti e perché non ho mai pubblicato le foto che ho fatto in via Fereggiano.
Preferisco una foto rubata in questo momento, un mare calmo. Il mio ossimoro.


venerdì 11 novembre 2011

Un cimitero di rottami e fango

“Ciao M. scusa il disturbo, avevo bisogno di parlare con qualcuno prima che mi inizino a tremare le gambe come a una cretina”.
“Sto andando alla presentazione del libro dell'alto M. per questo senti casino, che è successo?”
“Sono tornata a Genova stanotte e sono appena stata in Piazzale Kennedy, sai dove portano le auto distrutte dall'alluvione dello scorso 4 novembre? Ecco sì, proprio lì. Sai... lo scenario è strano, credimi, nemmeno dopo il G8 ho visto una cosa così. Mi tremano le gambe, riprendimi che devo salire sull'autobus, tu ce l'hai questo super potere no? Quello di rimettermi in riga quando perdo il controllo. Ecco contrapponilo al mio, quello di “vedere le cose”, perché mi sono sentita come Chew, lui mangia le cose e vede le loro storie. Per me è uguale: ho guardato quelle macchine e ho visto tutta la storia. Non sono riuscita a non farlo”.
“Hai fotografato una situazione statica, è il dopo non è più la botta dei primi giorni, non empatizzare troppo, vedrai che poi non ti tremeranno le gambe”.
E anche se avevi avuto una giornata terribile in un attimo, come al solito, hai avuto ragione ma soprattutto hai trovato le parole per non farmi tremare le gambe come una bambina imbecille. Grazie.




Lo avevo detto che a me non reggeva il cuore, per questo nonostante tutto avevo scelto di andare in tour con i Balmorhea. Perché ogni tanto la mia vena di mediattivista, può anche venire meno. Alla fine non sono mai stata un'amante della prima linea, la mia sciarpa rossa, grande distintivo degli stupidi e inutili intellettuali di sinistra, mi ha sempre rappresentato. Anche se non sono propriamente un'intellettuale. Mi piace mettere le mani nelle storie e comprenderle quando si abbassa l'attenzione, quando non sono più la notizia in prima pagina. Voglio ragionare a mente fredda e sangue caldo e per farlo mi serve sempre arrivare un attimo dopo del momento migliore.






Non ero nemmeno convinta di andarci in Piazzale Kennedy, prima tappa al rientro per capire. Poi mi aspettano le vie, gli angeli del fango e non so cos'altro. Sarebbe sicuramente più giusto se non fossi attaccata alle storie ma fossi più pratica, se mi limitassi a mettere gli stivali di gomma e a spalare il fango.


Comunque è stato facile entrare al cimitero delle macchine. È bastato presentarmi lì con la macchina fotografica al collo, dirigermi immediatamente dagli agenti di Polizia Municipale, mettere uno sguardo deciso e dire loro “Salve, devo fare delle foto per un articolo per XXX volevo chiedervi se posso entrare e se qualcuno di voi può accompagnarmi in modo che io non mi metta in situazioni di pericolo”. Ha funzionato, non hanno voluto vedere nessun tesserino, un agente mi ha accompagnato e mentre fotografavo il cimitero raccontava spontaneamente la situazione. Mi diceva che quella montagna di fango lì in fondo è fatta con quello che tolgono dalla Val Bisagno e che portano qui per caricarlo sui camion e smaltirlo. Esattamente come le macchine: “Vede signorina, non vengono tutte dalla zona del Bisagno, alcune arrivano anche da Quarto, ora non ricordo bene il nome della via... Non è impressionante? Per esempio, questa fila di motorini impilati, la vede questa montagna? Ecco ci metteremo settimane a rimetterle a posto in fila e a rintracciare i proprietari. Qui vengono le persone che hanno perso le macchine durante l'alluvione, alcune hanno la targa altre ti dicono solo che tipo di macchina stanno cercando e noi li accompagniamo in giro per chiudere la pratica. Faccia attenzione, non si avvicini al fango, non sembra ma è molto più pericolosa di quello che crede quella montagna”.
“E quei ragazzi laggiù con lo skate che saltano sui tetti delle macchine?” (ammetto che era l'ultima immagine che mi sarei aspettata di vedere in quel momento).





Andiamo dai ragazzi per consigliare loro che non è proprio una buona idea quella di fare acrobazie in quel punto, sono stranieri, sono arrivati da poco e non parlano nemmeno una parola di Italiano. A quel punto traduco per il vigile, non sanno nemmeno quello che è successo in questi giorni in Liguria, a loro del ciclone non gliene frega niente a quanto pare. Quando gli racconto cosa è successo e perché è meglio che vadano dall'altra parte del piazzale mi dicono che infatti a loro sembrava strano che quello fosse uno sfasciacarrozze e si allontanano. Senza troppe storie. Mi arrampico su un pilone per fare una foto d'insieme, scendo completamente coperta di fango, guardo il vigile e gli dico che in quel momento sporcarmi è l'ultima cosa che mi interessa, gli chiedo di quella macchina gialla messa lì a caso, come se fosse un monito. Mi dice solamente che è lì perché ora stanno svuotando il piazzale ma sono giorni che lavorano incessantemente ed è stata messa lì in quel modo per far spazio alle altre. Esattamente come i motorini impilati di prima.



È come stare in una fossa comune, solo che qui si vuole dare un proprietario a tutte le cose, che è forse molto diverso dal dare un nome ai cadaveri.

Ringrazio, stringo la mano e me ne vado a prendere l'autobus, devo recuperare le chiavi di casa, finalmente dopo tanto tempo ne ho una che mi aspetta. Me ne vado e mentre arrivo in Via di Rimassa alzo il telefono perché non ce la faccio e chiamo M. uno dei miei alleati migliori, quello che è in grado di non farmi tremare le gambe. Perché ho bisogno di non farle tremare, di dirmi che alla fine è solo una storia statica quella che ho visto. Ho visto il dopo, ho deciso di non vivere tutto il resto, di allontanare gli intrusi dalle mie emozioni. Almeno adesso. 




mercoledì 9 novembre 2011

Travel Diary with Balmorhea #3

Tutte le foto sono arrivate con un puntualissimo giorno di ritardo.
Delle cinque date in cui dovevo seguire i Balmorhea in Italia sono riuscita a farne solo tre e ammetto che ancora mi mangio le mani. Mi mangio le mani perché sarei stata capace di seguirli in capo al mondo. Ma questo è normale quando si è ossessionati come me dalle cose belle. E loro non sono solo musicalmente talmente suggestivi da crearti dei mondi nella testa quando suonano, sono anche (e soprattutto) delle persone bellissime.

Durante questo mini-tour, mi sono accorta di sentirmi esattamente come i personaggi di alcune storie che scrivo. Anime inquiete che ritrovano il loro equilibrio solo quando si rimettono in viaggio. E mi sono sentita un personaggio particolare su cui sto lavorando adesso, che avevo modellato semplicemente chiedendomi quale tipo di persona si sarebbe potuta trovare nelle situazioni che immaginavo. E non ero io, le avevo dato mille caratteristiche che non credevo mie.
Ma è stato come ritrovarmela nello specchio in albergo, la mattina, quando stavo provando a staccare dagli occhi la densità del mondo che si condensava davanti a me per il poco sonno.
E lì mi sono accorta che mi basta davvero poco per sentirmi felice. Cambiare la valigia, trovare un nuovo strumento per provare a raccontare, non fermarmi nella monotonia delle mie giornate, restare in in movimento. Costantemente. Al costo di pagare il prezzo che viene chiesto a chi si ritrova solo in viaggio, perché alla fine l'eterno vagabondo non ha diritto a un ritorno.

Viaggiare con i Balmorhea mi ha dato la sensazione di trovarmi davanti a dei ragazzi che erano disposti a rinunciare a tante cose per andare avanti con il proprio sogno. Non è stata una gita, non è stato gonfiarsi il petto della propria (splendida) capacità di comunicare. Sono stata in viaggio con sette musicisti dalle capacità rare, di una precisione e una cura per le cose che fanno invidia. Sette ragazzi giovani capaci di mantenere il sorriso nel ritmo serrato del tour che li sta portando in giro per l'europa, precisi, puntuali e con energia e capacità di comunicare da vendere.
Non è il primo tour che mi capita di seguire, ma devo dire che è stata la prima volta che alla fine mi sono sentita svuotata, trascinata dalla piena di una malinconia che non sapevo spiegarmi.
Non è normale per me, ma credo che capiti a tutti quando si passa del tempo piacevole con delle belle persone e ci si saluta imponendosi di non dirsi addio.
Ci sono semplicemente dei viaggi che vorresti durassero un po' più a lungo.
E spero di accompagnarli di nuovo quando torneranno in Italia.










martedì 8 novembre 2011

Travel Diary with Balmorhea #2

Lo so che sto pubblicando tutto con un delay di un giorno esatto rispetto al momento in cui vorrei farlo e che questo forse toglie un po' di fascino al lavoro che ho fatto in questi giorni.
Mi trovo a pubblicare le foto del Mattatoio di Carpi quando ho già lasciato i Balmorhea, che ora saranno già in viaggio verso la Slovenia.
La serata di ieri a Roma è stata complessa, difficile, ma nonostante tutti i ritardi e il resto davvero bella.
E anche quelle foto arriveranno con un po' di ritardo. Ma a volte succede così quando si è in viaggio.