giovedì 26 maggio 2011

Quando se ne andò io ritrovai quella che avevo perso.

Genova. Un mese e mezzo da quando son tornata. 
Le cose sono cambiate poco, al massimo sono scivolate qualche strada più in là.
Siamo ancora tutti qui, e chi se ne è andato lascia sempre un'ancora per ritornare.
Parecchi hanno continuato la loro stirpe, altri sono solo andati avanti nella loro naturale evoluzione. 

Seconda notte in casa nuova.
In quella che sarà la mia casa nei prossimi quattro mesi.
Casa enorme, e fauna che farebbe invidia a qualsiasi film di Almodovar.
Un piano sotto a quello che è stato il mio ufficio per anni.

Due vie più in là di quello che è stato il mio studio nei tempi felici dell'incoscienza, nei primi due anni di Genova.
Tre piani più sotto dell'ufficio dei miei nuovi datori di lavoro. 
All'incirca 500 metri da dove lavoro adesso.
Ho rimescolato completamente le carte in tavola della mia vita. C'è tutto di me, ma in ordine completamente inatteso.

Le prime cose che sono finite in questa stanza sono, il bigliettino che mi ha fatto Rrobe per il compleanno, appeso dietro la scrivania per strapparmi un sorriso ogni volta che lo guardo, il mio “angolino Wonderland”, qualche minchiatina nerd per far impazzire i coinquilini (parliamo di personaggi che al bagno tengono librerie di fumetti e due Gameboy™ che potrebbero aiutare la concentrazione), quattro fesserie colorate da appendere alle pareti di questa stanza troppo vuota, che al risveglio era più impersonale di un letto d'ospedale e il manifesto della tattoo convention dell'anno scorso, che almeno riempie un metro e passa del muro vuoto.






Quando Alice se ne andò dal Paese delle Meraviglie si lasciò dietro un mondo che non era più al sicuro.

Quando io sono tornata a Genova, il mio paese delle meraviglie, la città del Plutonio, popolata dai pazzi, ho ritrovato una mia piccola Alice.

La vicina di casa di quando stavo quattro vie più in là, del periodo più felice che io mi ricordi, di quei momenti che per anni ho rivoluto indietro.
La vicina di sotto con cui ti urli dalla finestra “Vieni a mangiare sul tetto?”. Il periodo di Vico della Rosa. Sette anni fa.
Insomma, la mia Alice, con il nostro paese delle meraviglie, su cui sbatto il muso e ritrovo una casa, qualche metro più in là di dove avevo lasciato non pochi pezzi di cuore. 


E credetemi, erano anni che non ridevo costantemente e continuamente come oggi. Dall'urlo sulla porta per il caffè stamattina, a sentirmi descrivere come il foglietto su cui il mio ex fidanzato tatuatore scarabocchiava tattoo mentre era al telefono (frase che prima o poi dovrò mettere nella mia biografia), a come sono stata aiutata e coccolata dai coinquilini per mettere quello che mancava nella stanza. 

Oggi che è stato il Towel Day e noi giravamo tutti con un asciugamano appeso alla cintola, a mo' di mantello, di cravattino o infilato negli orecchini perché ci piaceva così. Oggi che ho avuto l'ennesima riunione importante, che il mio socio mi ha sorriso, ed era fiero di me per un momento. Oggi che la solita incapacità di domare il tempo e gli eventi, mi ha incasinato nuovamente i programmi.

Oggi che si è rotto l'ascensore del palazzo quando sono arrivata con la valigia pesante, che per portare le scatole da un portone che in linea d'aria sta a 150mt devo fare il giro lungo, perché ci sono i lavori in corso, oggi che mi sono svegliata dicendo “Ma chi cazzo è che ascolta gli Einsturzende Neubauten a palla al mattino?” e invece erano gli operai del cantiere qui sotto. 

Che consegnano le pizze a casa e le uniche che sono state spiattellate di lato sono la mia e quella di Alice. 
Oggi che guardo la me stessa di un anno fa, che credeva di aver trovato la sua strada, che non l'avrebbe cambiata per nulla al mondo, e ora si ritrova in una piega totalmente non prevista della sua vita.

Oggi che sono di nuovo in quella fase in cui potrei partire senza salutare, senza avvisare. Come ho già fatto, facendo notare che sono partita per non tornare, solo mesi dopo.
Oggi che svuoto valigie che so benissimo che dovrò riempire, e non riesco ad immaginarmi quello che verrà. Mi limito a continuare. A non cercare più di trattenere il tempo che mi scivola via dalle mani, senza che io riesca a domarlo. Lo lascio andare. 
Sorrido. Mi spengo tra le ennesime mura nuove. 


3 commenti:

Anonimo ha detto...

Bello, bello, bello. *)

alietzsche ha detto...
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
alietzsche ha detto...

dunque, a un mese almeno di distanza, ho finalmente il tempo per darmi il tempo di leggere il post senza fretta, frugandone i particolari.
e per infilare a mo' di commento un grazie, per lo spaccato di vita (mia) che intravvedo dal tuo punto di vista. e' sempre interessante infilarsi nelle orbite di qualcun altro e spiarsi da soli, una sorta di "essere john malkovich" autobiognafico.
e un altro grazie per quelle ore rubate qua' e la a giornate dai contorni troppo precari per definirne i momenti, serate dove la cena e' all'una di notte, mattine alle tre di pomeriggio..all'insegna di questo scorrere del tempo che ha cambiato velocita' nostro malgrado.
forse non e' ne' piu' veloce ne' piu' lento del periodo di vico della rosa, forse ha solo cambiato inclinazione. forse dipendera' dal fatto che la maddalena all'altezza di Vitale compie una lieve deviazione spazio-temporale a manca, mentre vico della rosa aveva quel dislivello a babordo, lievemente tendente al blu..