lunedì 17 maggio 2010
Non mi uccise la morte
La morte di Stefano Cucchi, lo scorso ottobre, ha scosso in modo evidente l'opinione pubblica. Il ragazzo arrestato per possesso di stupefacenti il 16 ottobre non ha mai fatto ritorno a casa per riabbracciare la sua famiglia: sei giorni dopo morirà nel reparto penitenziario dell'ospedale Pertini di Roma. Non mi uccise la morte parla proprio di questo abbraccio che è mancato, ne parla con la crudeltà dei fatti, senza nessuna esasperazione, ne parla senza nascondere i supplizi che ha passato il ragazzo prima di morire. Non vuole romanzare nulla, non vuole allettare le persone. I testi di Luca Moretti sono secchi, taglienti. Inizia proprio dal Focault di Sorvegliare e punire per arrivare fino al blasfemo di De André, senza “indorare la pillola”, senza alleggerire il colpo. La mano di Toni Bruno, sintetica e violenta allo stesso tempo, sembra fatta apposta per descrivere visivamente questa storia. Questo istant book, edito da Castelvecchi, racconta il grido di dolore di una famiglia che a distanza di mesi non ha ancora trovato verità e giustizia e nonostante tutto questo, ancora non si è arresa.
Il saggio finale, di Cristiano Armati, ci ricorda – ancora una volta – che le vittime di violenze da parte delle Forze dell'Ordine purtroppo ci sono e che spesso muoiono nell'indifferenza più totale, nel silenzio senza indignazione, perché fuori da quelle sbarre difficilmente arrivano notizie di questo tipo.
Non mi uccise la morte ma il buio della giustizia, scrivono gli autori come “seguito al titolo”. Un buio che tutt'ora, nonostante la riapertura dell'inchiesta, avvolge il caso e non accenna a diradarsi, una storia che diventa in un qualche modo il simbolo di decine di storie simili in Italia.
Questo libro serve a non far calare il sipario sulla vicenda, a non rimaner in tacito e passivo assenso, mi vien da pensare al vecchio detto latino “verba volant, scripta manent” anche se, come dicono gli autori, “Speriamo che non ci sia più bisogno di fare libri così”.
Questa recensione è apparsa su Comic-Soon periodico di informazione sul mondo del fumetto, uscito il 30 Aprile 2010 in occasione del Napoli COMICON, la parte che segue invece, è una mia considerazione personale che scrivo per la prima volta su questo blog.
Personalmente credo che questo libro abbia più di un lato interessante, anche se non nascondo il fatto che non ho mai amato il concetto di Istant Book.
Il primo effetto che mi ha dato, leggendo l'introduzione di Moretti e poi il fumetto stesso, è stata quella di veder affiorare una quantità di sentimenti contrastanti a fior di pelle. Quella sensazione di pelle d'oca che non se ne va, nemmeno una volta chiuso il libro. Il pugno nello stomaco che mi arriva ogni volta che questo tipo di realtà di palesa davanti agli occhi. Anche se hai occhi allenati per guardare, anche se hai anni di esperienza a sentire e cercare di intervenire nella memoria storica di determinate storie di merda, fa male.
Fa un male cane.
Il pezzo scritto da Cristiano Armati, poi, è la parte del libro che dà un po' il colpo di grazia. Sono tutte storie di cui si è sentito parlare, sono tutte pagine scure che non hanno mai avuto "giustizia", termine tanto caro agli indignati del 2010.
Eppure, nonostante tutto continuo a non credere in uno stato che si autoprocessa, come continuo a non credere ai principi azzurri, agli asini che volano, a Babbo Natale o a chi per lui.
Quando ho chiuso questo libro, quando l'ho messo nella libreria, in mezzo ai suoi "simili", i libri che parlano di queste storie, che fissano nelle loro pagine un grido di memoria storica, l'unica cosa che ho pensato è che davvero vorrei che ci si fermasse qui. Che non ci siano più storie come questa da raccontare. Semplicemente perché, nel migliore dei mondi possibili, non dovrebbero più accadere.
Eppure, la nota di dolore è una e una sola. Non viviamo per niente nel migliore dei mondo possibili.
17 05 2010.
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