Qualche giorno fa ero a spasso per Villa Bombrini, con un amico, dopo un concerto. Parlavamo di cose. Di quelle di cui parli quando non vuoi parlare veramente ma solo stare insieme.
Succede.
Parlavamo di cose.
Parlavamo di fumetti.
Parlavamo del significato delle parole.
Ed effettivamente, a volte, a seconda di dove vivi, alle parole dai un significato diverso.
Parlavamo di come è stato tradotto in italiano il titolo di The Arrival, il libro di Shaun Tan.
In italiano si chiama L'Approdo.
E lui, che non ha mai vissuto in una città di mare (ma prima o poi dovrà farlo per sua stessa ammissione) non apprezzava questa traduzione.
Quello che non sono riuscita a dirgli in quel momento, complici le birre e la voglia di rivederlo un attimo dopo un sacco di tempo, è che per me invece l'immagine dell'approdo è la migliore del mondo.
Per me che ho mare nelle vene per almeno cinque secoli della mia famiglia, che ho lasciato per non tornare la nebbia della pianura, che ho sbattuto la faccia con la crudeltà di una città di porto.
Un approdo è qualcosa di più di un arrivo.
Un approdo è qualcosa di inspiegabile, di intraducibile se non riesci a trovare i mille significati nascosti nel sotto-testo del suo significato.
E Genova lo è; è un approdo per molte e molti di noi.
Per quelle amiche e quegli amici bellissimi che mi hanno invaso la casa, le strade e la vita (di nuovo) per questo decennale del g8.
Che mi hanno detto che non era davvero un lungo funerale e l'hanno fatto con i loro sorrisi, con i loro figli, con le loro vite che sono andate avanti e si sono legate a questa terra, a questi luoghi che li hanno fatti a pezzi.
Ed è questo il fatto. Dare un approdo. Una casa che non è solo un tetto, un letto, un divano, un angolo dove rifugiarsi, è quell'approdo sicuro dove tornare, dove sai che hai porte aperte e braccia pronte a stringerti.
Dove sai che il mare è qualcosa che calmerà anche la tua anima.
Che troverai qualcosa in grado di lenire il dolore del tuo cuore anoressico.
Qualcosa che ti dice che va tutto bene.
Anche se è difficile.
Anche se fa male.
Anche se per anni hai navigato alla deriva cercando questo approdo che non c'è più.
E lo sai, lo sai che per quanto il cinismo che si incastra nelle nostre anime, e nei nostri vicoli, per quanto facciamo finta di niente, noi che viviamo nei porti aspettiamo sempre.
Anche se non guardiamo il mare ogni cinque minuti.
Anche se vivere ci stanca da morire.
Anche se non abbiamo sempre gli occhi al cielo, ma inchiodati a terra nelle strade che dobbiamo percorrere di corsa.
Aspettiamo, e offriamo un posto dove tornare.
Come solo noi che viviamo in questo grande porto siamo in grado di fare.
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