martedì 20 settembre 2011

Uccidere i propri slogan

Negli anni sessanta e settanta c'era uno slogan: “Uccidi lo sbirro che è in te”.
Non serve spiegare a cosa si riferisse. Il bisogno di liberarsi di tutta una serie di sovrastrutture era alla base di quegli anni dove per un attimo si era sfiorata una rivoluzione culturale. Rivoluzione che in parte c'è stata e in parte è morta affogata nell'eroina, nelle carceri speciali, nelle bombe, oppure è andata dal sarto, si è fatta fare un vestito nuovo ed è finita a raschiare il fondo del barile in parlamento, rinnegando se stessa.

L'eco di quelle parole però (e non solo queste ma sono quelle che fanno al caso mio adesso) è arrivato lontano, anche ad alcuni di quelli della mia generazione. E siamo cresciuti uccidendo ogni giorno dentro di noi queste sovrastrutture, o almeno provandoci.

Quando decidi di metterti a scrivere seriamente, non più di giocare “all'autore” una delle prime cose che devi fare è scendere a patti.
Ridarti una sovrastruttura. Costringere il tuo essere caotico a rimanere compresso e piegarsi al tuo volere. A uscire dalla punta delle dita con il contagocce in modo da non sporcare troppo in giro ma da prendere corpo in quello che stai scrivendo.

Lavorando al programma didattico della Genoa Comics Academy

Quello è il momento di nutrire la parte più odiosa di te, il tuo secondino. Devi diventare il carceriere di te stesso, chiuderti e non distrarti. Di fare delle rinunce, di scegliere. Perché il percorso creativo non è quasi mai una passeggiata in campagna, a volte è fatto anche di qualche piccola ferita aperta, di qualche rinuncia per un bisogno incontenibile che ti fa rimanere attaccato al computer a vomitare parole fino a quando non suona il telefono e ti rendi conto che fai fatica a parlare. E' qualcosa di molto simile all'autismo per certi versi.

E così sto provando a non ribellarmi al mio carceriere, sto cercando di uccidere gli slogan, di gestire questo caos per dargli un senso. 

E in questo modo miglioro la qualità della mia stanchezza, che a pochi giorni dall'inaugurazione ufficiale della Genoa Comics Academy vi assicuro che non è poca, anzi, ma riesco ad andare a dormire con il sorriso, quando a notte fonda apro l'agenda e spunto tutte le cose che dovevo fare nella mia giornata.

Ah, sì, giusto. Sabato sera mi trovate QUI all'evento di Tarick1 e Motel Connection. 

4 commenti:

Anonimo ha detto...

"[...] A volte è fatto anche di qualche piccola ferita aperta, di qualche rinuncia per un bisogno incontenibile che ti fa rimanere attaccato al computer a vomitare parole fino a quando non suona il telefono e ti rendi conto che fai fatica a parlare. E' qualcosa di molto simile all'autismo per certi versi."

Caspita quanto è vero.. chi non ne ha esperienza non riesce a rendersene conto fino in fondo. E' grazie al mio ostinarmi nell'espressione attraverso i processi creativi che ho davvero compreso il concetto (e lo stato) di "alienazione".

V.

The Passenger ha detto...

Servono insegnanti?

dinamo ha detto...

Condivido pienamente quanto scrivi Amal. Fare delle rinunce e scegliere significa maturare e crescere. E la creatività si allena e migliora coi vincoli, a mio avviso, più che con la libertà assoluta e il caos omnidirezionale. E' bella la frase "miglioro la qualità della mia stanchezza", ci provo anch'io ma è davvero dura!

giampaolo ha detto...

Sei proprio cresciuta figlia mia e quanto mi piace la tua maturazione
condivido in pieno quello che scrivi ed adoro la tua capacità di esprimere,è bello e mi fa sentire grande essere tuo padre